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La dipendenza patologica è una condizione esistenziale, dove il soggetto costruisce una relazione privilegiata con un oggetto (sostanza o altro) attraverso il quale prova ad operare una ristrutturazione magica della propria organizzazione mentale. L'operatore non può non entrare all'interno di questa complessità e non tener conto dei vissuti quotidiani che il tossicodipendente instaura "con" la droga (e non solo "a causa" della droga). L'attribuzione dello status di "tossico-dipendente", in stato cronico di mantenimento, "semplifica" le cose promuovendo un pessimismo di fondo paradossalmente stabilizzante, che finisce per mettere d'accordo un po' tutti e "assolve l'operatore dall'assumersi la responsabilità della persistenza del comportamento disfunzionale del paziente". Seguendo la tradizione fenomenologico-umanista, si propone una modalità interattiva meno direttiva e più empatica per avvicinarsi alla realtà del tossicodipendente, imbrigliato nei suoi rigidi e ripetitivi meccanismi relazionali, concordando con chi, più che parlare di "pazienti inguaribili", sostiene che: esistono invece "operatori impotenti", perché privi degli strumenti minimali di intervento.